SANDRO FOTI


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Islanda

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I miei Viaggi: L'ISLANDA IN MTB
Reykjavik, Egilstaðir, monte Snaefell (800 m), Vatnajokull (ghiacciaio), le dighe di Karahnjukar, Laugarvellir (600 m slm), monte Askja (800 m rifugio Dreki), Kistufell (1050 m), Þvermòður (rifugio sul fiume Nydalur), Versalir (vecchia stazione di servizio dimessa), pista dello Sprengisandur, Landmannalaugar, Rjupnavellir, Gullfoss, Blaa Lonid (Laguna Blu), Thingvellir.

650 km quasi interamente sterrato,
6800 mt di dislivello positivo.
(come da Udine a Ventimiglia o da Milano a Frosinone!)


L'arrivo

4 agosto 2006 - Primo giorno IBASPRENGISANDUR.
Il punto di ritrovo è il check-in nella hall delle partenze di Milano Linate. L'ora le 5:00. E’ un po’ scomoda, ma non ci possiamo fare nulla.
Luciano e Gigi sono partiti ieri da Treviso in auto ed hanno dormito a casa mia.
Beatrice arrivata da Roma in treno e ha dormito a casa di mia sorella. Matteo, invece, arriva direttamente da Lecco, accompagnato in auto.
Stefano è partito il sabato precedente con Marcello in auto, con viveri e attrezzature. Hanno attraversato mezza Europa per imbarcarsi, dopo 2600 km, a Bergen in Norvegia sulla motonave NONROHA, la nave delle Isole Far Öer, che fa servizio di traghetto tra il continente e l'Islanda. La distanza viene coperta dalla moderna nave in due giorni. Manca ancora Sebastien, di Vittorio Veneto, che è partito il giorno 3 per conto suo e ha raggiunto l'Islanda con rotte aeree diverse da quelle del gruppo.
Il problema principale che si pone negli spostamenti aerei è il limitato peso del bagaglio concesso dalle compagnie aeree, che non deve superare i 20 Kg a persona. Normalmente questo limite non si raggiunge mai, ma con le biciclette al seguito, ci si rende perfettamente conto che dobbiamo limitare al massimo il bagaglio personale per poter compensare il peso della bicicletta, che si aggira intorno ai 10-12 kg. Per questo motivo è stato deciso di trasportare in auto 4 biciclette, in maniera da poter lasciare più capacità al bagaglio delle persone, che dovranno affrontare 15 giorni di viaggio in un clima rigido.
In Islanda, ad agosto, le temperature vanno mediamente da 7°C ad un massimo di 17-18°C. Non è raro, all'interno del deserto islandese, assistere a nevicate anche abbondanti provocate dai venti che provengono dal Polo Nord.
Dopo la tappa a Copenaghen, arriviamo a Keflavìk, aeroporto internazionale d’Islanda, e ci spostiamo all'aeroporto interno di Raykjavìk da dove, con un altro aereo a turboelica delle linee interne islandesi, arriviamo a destinazione a Egilstaðir. La città più importante del nordest dell'Islanda.
Per parlare di città in Islanda conviene fare qualche considerazione numerica: 250.000 sono gli abitanti complessivi dell'isola; 130.000 gli abitanti della capitale, mentre Egilstaðir ne conta circa 12.000. E' facile intuire che tale densità di popolazione distribuita su un territorio grande come l'Austria lascia delle aree desertiche enormi dove l'uomo è una presenza sporadica e passeggera.
Il gruppo si ritrova quindi unito a casa di Güdmunður e Grèta; lui contadino da generazioni, lei una signora islandese dinamica, simpatica ed elegante che a nordest rappresenta il movimento che sta lottando contro il
devastane progetto Karahjukar.
Tale progetto prevede la costruzione di 9 dighe che taglieranno in due un territorio meraviglioso e ancora intatto. Conoscere la famiglia di Grèta ci ha permesso di comprendere la posizione maggiormente condivisa dalla popolazione islandese nei confronti del progetto, fortemente voluto dalle multinazionali per portare la lavorazione d'alluminio in questa remota parte dell'Islanda.
Abbiamo a disposizione una stanza sopra la stalla di Güdmunður dove possiamo fare un veloce breafing sul viaggio, mettere a punto il materiale e cenare.
Lo stesso locale funge anche da stanza per dormire. Il posto è simpatico, asciutto e caldo e, sapendo che in Islanda si viaggia in questo modo, tutti noi ci adattiamo perfettamente alla situazione.
La cena preparata dalla nostra cuoca Matthilður prevede SALMONE islandese, ovviamente, patate lesse, insalata mista, mirtilli con panna della fattoria di Grèta: tutto squisito!
Finita la cena sono state rimontate e controllate le biciclette con molta attenzione per poter avere il mezzo di trasporto in perfetta efficienza. Prima di andare a dormire ci sono stati distribuiti i GPS Garmin 60, che sono stati forniti da GPSCOMEFARE.COM, sui quali sono state caricate le tracce e le rotte del viaggio. Inoltre riceviamo la carta topografica dettagliata del percorso e Road Book del viaggio.
E il tempo? A Reykjavìk pioveva, arrivati a Egilstaðir le nuvole erano diradate e il sole faceva la sua apparizione. La temperatura era intorno ai 20°C (caldo per essere in Islanda), ma la notte un forte vento con pioggia ci ha un po' preoccupato.
E’ già ora di dormire, l'eccitazione per il viaggio è tanta. Domani comincia la Vera Avventura.

Dalla fattoria di Greta

5 agosto 2006 - Secondo giorno IBASPRENGISANDUR
Giornata con un 30% di nuvole, vento a 27 Km/h da sud e temperatura di 20 °C.
Dalla fattoria di Grèta al rifugio Snaefell (800 mslm) Sterrato facile per i primi 13 km poi asfalto per 60 km gli ultimi chilometri sterrato molto duro e sassoso con piccoli guadi.
La sveglia è stata per tutti la consapevolezza che oggi si dovrà affrontare circa 90 km di Islanda in bicicletta. E' arrivato per tutti il momento di confrontarsi con se stessi per vedere se la preparazione in mountain bike acquisita nei mesi precedenti il viaggio è stata adeguata all'impegno che ci attende.
La colazione è il primo bel segnale della giornata. Matthildur e Adriana ci hanno preparato proprio una chicca per poter cominciare con il piede giusto: caffè, latte, formaggio, burro, marmellata, pane, mueslei, te' e frutta.
Si preparano i bagagli e poi una ultima controllata alle biciclette e via si parte. Mentre noi 7 bikers affrontiamo il primo percorso della IBAS, Matthildur, Adriana ed Marcello, con i due mezzi di assistenza carichi di tutti i bagagli, le tende e viveri per 11 giorni di deserto, vanno a fare il pieno di gasolio.
Nella zona centrale dell’isola i distributori di carburante sono molto rari.
La strada asfaltata costeggia il lago di Lagarflìot, un lungo e stretto contenitore naturale d'acqua, che proviene dai fiumi di origine glaciale. Il saliscendi costeggia una delle rare e limitate aree islandesi con piccoli alberi. In genere l'Islanda non ha alberi a causa del taglio indiscriminato dei primi coloni che vi abitarono sin dall'anno 1000. Il freddo e la costruzione dei rifugi per sopportare i rigidi inverni portarono a esaurire i pochi alberi dell'isola.
In corrispondenza dell'immissario del fiume Jokuslà ì Fljòtsdal, si attraversa il lago con un ponte nuovo e subito comincia la salita che ci porterà dal livello del mare a 600 mslm con una serie di ripidi tornanti. La strada, una volta una pista difficile da percorrere solo con i 4x4 è stata allargata e asfaltata per i camion diretti ai cantieri di costruzione delle dighe di Karahjukar che distano da qui circa 70 km.
Con questa strada si entra nelle Highlands, gli altipiani più selvaggi dell'Islanda. L'area, considerata il parco naturale più esteso d'Europa, è luogo di pascolo e riproduzione delle renne islandesi e di un numero altissimo di uccelli migratori. Il vasto altopiano desertico è costellato da un numero impressionante di laghetti e pozze d'acqua contornati da vegetazione molto bassa, del tipo che si trova in alta montagna alle nostre latitudini. Luoghi ideali per nidificare e fare crescere la prole prima della migrazione verso sud.
Intorno alle 14:15 le auto al seguito ci raggiungono lungo la strada e si fermano a preparare un piccolo ristoro. Il vento ora soffia contro e i prossimi 30 km saranno molto duri con medie di velocità ridotte a 7-8 km/h.
Sebastien con Beatrice sono sempre davanti, mentre si alternano a darsi il cambio per tagliare l'aria, Matteo, Sandro e Gigi. Luciano e Stefano.
Il paesaggio a perdita d'occhio è disturbato dai TIR che percorrono questa strada senza uscita a 100 Km/h provocando dei fastidiosi e pericolosi spostamenti d'aria. E' incredibile pensare che per secoli queste terre abbiano visto solo sporadiche apparizioni dell'uomo mentre ora il silenzio naturale di questi luoghi sia rotto dal rombo dei potentissimi articolati che sfrecciano nelle Highlands.
Gli ultimi 13 chilometri sono di pista dura e sterrata. Al bivio che si stacca dall'asfalto c'è un presidio di giovani che protestano contro il progetto Karahjukar. Sono ragazzi dai 20 ai 35 anni che vengono dall'Inghilterra e dalla Francia. Ci raccontano che questa mattina la polizia ha fatto bloccare l'accesso ad una zona dove circa 60 attivisti ecologisti si erano accampati, tagliando loro la possibilità di essere riforniti di viveri. Non si sono scoraggiati: già gli abitanti di Egilstadir si stanno organizzando per mandare loro dei viveri con macchine non sospettabili e si parla addirittura di un lancio di viveri da aeroplano.
La lotta qui non si arresta. Sembra anche che la polizia islandese abbia arrestato 13 persone e picchiato un cameraman indipendente, violando palesemente il diritto alla protesta, diritto sancito da convenzioni internazionali. Verificheremo dopodomani la veridicità delle notizie, quando passeremo nella zona delle dighe.
Finalmente dopo due guadi alla caviglia e diversi scollinamenti vediamo il tetto del rifugio Snaefel.
L'accogliente rifugio ci ospita con il suo calore, la sua semplicità e il suo gestore Leifur, ragazzo alto e gran suonatore di fisarmonica.
La cena a base di riso, carne di pollo cucinato all'islandese e insalata viene chiusa alla grande con una torta alla panna e cioccolata preparata da Matthildur ieri a casa di Grèta, da leccarsi i baffi e andare a letto nel sacco a pelo con il sorriso stampato sulla bocca!
Domani giornata di riposo solo 36 km da fare per andare a pedalare sul ghiacciaio Vatnajokull.
Alle 23 c'è ancora molta luce nel cielo che si è rannuvolato. Speriamo che domani non venga giù acqua.
Buona notte Islanda.

Il grande ghiacciaio

6 agosto 2006 - Terzo giorno IBASPRENGISANDUR
Giornata con un 80% di nuvole, vento a 33 Km/h da sud-ovest e temperatura di 17 °C
Dal rifugio Snaefell (800 mslm) al ghiacciaio Vatnajokull e ritorno. Sterrato molto duro e sassoso con piccoli guadi due salite ripide all'andata e una pedalata sul ghiaccio vivo.
Dopo la tappa di ieri, la notte ha portato riposo un po’ a tutti, ma Stefano è il più provato, e probabilmente sfrutterà la giornata di riposo per recuperare lo sforzo del giorno precedente.
Per gli altri la sveglia è alle 8:30 e poi la colazione nella sala del rifugio.
Oggi arriverà molta gente qui allo Snaefell, perché in Islanda c'è un ponte lungo di 4 giorni e le famiglie ne approfittano per visitare i luoghi più affascinanti della loro isola.
Pertanto Matthildur e Adriana devono organizzarsi in tempo per prenotare l'unica cucina disponibile.
La giornata prevede riposo e un'escursione di 36 km nel pomeriggio.
Approfittiamo della sosta per mettere a posto le bici, il bagaglio, fare una passeggiata nei dintorni del rifugio.
Appena dopo il pranzo si parte decisi in direzione SUD. Un piccolo drappello di curiosi presenti nel rifugio assistono alla partenza immortalandoci con le loro macchine fotografiche.
La pioggerella fine ha smesso di cadere. Il percorso si snoda lungo una ampia vallata completamente spoglia di vegetazione ad eccezione di macchie di muschio verde fluorescente in corrispondenza dei rivoli d'acqua.
Subito un guado ci obbliga a levarci le scarpe per passare oltre. Quindi si va via compatti fermandosi spesso a fotografare e ad ammirare il paesaggio lunare.
Siamo sotto lo Snaefell (1.880 mslm), la montagna più alta dell'Islanda (se si esclude quella che è sepolta dal ghiacciaio Vatnajokull), ma oggi la cima del monte non si decide a farsi vedere ed è coperta da una nuvola permanente che ne cela i suoi profili.
Verso le 16:00, Marcello e Stefano ci raggiungono con la Toyota. Dalla cima di un colle abbiamo una incredibile vista sul lembo nord del ghiacciaio grande quasi come la Lombardia.
Siamo smaniosi di toccare con le ruote della nostre Mountain Bike il ghiaccio millenario dell'Islanda.
La visione del Vatnajokull da questo lato lascia stupiti. Il ghiacciaio è del tipo a "calotta" con una forma caratteristica non riscontrabile in Europa. Sembra adagiato dolcemente sul terreno. Da lontano si confonde con una nuvola grigia scura all'orizzonte per la sua compattezza e regolarità. Poi avvicinandosi ci si accorge che è come una enorme lente grigia depositata sulla terra pianeggiante senza crepacci o salti di quota. E' per questo motivo che abbiamo la possibilità di salire sopra di esso con le biciclette.
Ci precipitiamo con la bicicletta spingendola a mano a superare i 30 metri di morena e ghiaccio e, appena messe le ruote sulla crosta butterata del ghiacciaio, saltiamo sulla sella e pedalando ci arrampichiamo sulla superficie sferica del Vatnajokull.
L'emozione è enorme! L'entusiasmo è tale che sia Beatrice, che Matteo e Sebastien spariscono dalla nostra vista oltre l'orizzonte del ghiaccio. In pochi minuti si sono addentrati per 2.5 km senza rendersi conto di essere su un ghiacciaio. Si fermano solo quando si trovano in presenza di un inghiottitoio naturale di acqua di un metro di diametro, in cui si versa un piccolo ruscello.
Molto pericolosi, questi buchi, perforano il ghiaccio fino al suo fondo, per poi fare riaffiorare l'acqua alla base del ghiacciaio.
E' ora di farsi le foto, ammirare lo scenario unico affascinante, esprimere le proprie emozioni con urla e grida e, quindi purtroppo, tornare al rifugio.
A 6 km dalla meta a Gigi, in discesa, gli “parte" la ruota anteriore e finisce con la faccia sulle pietre.
Io, che seguo a brevissima distanza, gli porgo i primi soccorsi. Ha la faccia insanguinata, ma nulla di più grave. Lavo le ferite con l’acqua della borraccia e applico qualche cerotto, che lui aveva nello zaino. Si decide di continuare in bici verso il rifugio. Marcello, in breve, ci raggiunge con la Toyota. Decidiamo di rimandare la medicazione una volta raggiunto il rifugio, dove abbiamo l'occorrente per il pronto soccorso. Al rifugio puliamo per bene le ferite superficiali di Gigi, gli applichiamo due cerottini da sutura in corrispondenza di un taglietto sulla guancia e andiamo tutti a cena.
Minestra di verdura con bruschetta, purea con bistecca di pecora squisita e come dessert biscotti al cocco. Super! Con applausi finali alle cuoche.
Il rifugio si è riempito di gente, e anche la tendopoli esterna è cresciuta di dimensioni. Questo rifugio islandese, anche se sperduto nelle Highlands, richiama veramente tanta gente.
Domani continuiamo lo spostamento ad OVEST e andremo a vedere il complesso delle dighe di Karahjukar, ma c'è un'incognita. Oggi, per l'eccessivo scioglimento del ghiacciaio, il ponte di servizio della diga, che dovremo attraversare, è stato chiuso tutto il giorno per una piena improvvisa ed eccezionale. Speriamo che non si ripresenti il problema domani, perché dovremo in queste condizioni cambiare itinerario. Dormiamoci su!
Buona notte Islanda.

Il ruscello caldo

7 agosto 2006 - Quarto giorno IBASPRENGISANDUR.
Giornata con un 60% di nuvole, vento a 4 Km/h da sud-ovest e temperatura di 6 °C.
Dal rifugio Snaefell (800 m slm) al Laugarvellir (600 mslm) passando per il complesso delle dighe di Karahnjukar. Asfalto per 20 Km e 37 km di sterrato duro e sassoso.
La sveglia, questa mattina, è alle 6:00.
Siamo preoccupati per la situazione del ponte da attraversare. Ha piovuto per buona parte della notte, ma la temperatura è scesa repentinamente e il termometro misura 6 °C. E' un buon segno per due motivi: il primo è che ad un abbassamento della temperatura corrisponde sempre un miglioramento delle condizioni atmosferiche, il secondo è che il freddo contrae il fenomeno dello scioglimento dei ghiacci, ciò significa che l'acqua che scenderà dal Vatnajokull sarà molto meno di quella dei giorni scorsi.
Non c'è neanche vento e intuiamo che il ponte di Karahnjukar al 95% almeno oggi rimarrà aperto.
La colazione abbondante ci dà il carburante.
Il capannello di curiosi, questa mattina, è ancora più folto e lo scatto della fotografia al gruppo in partenza si ripete diverse volte.
Via! Pedalando per ritornare all'asfalto dello stradone dei TIR. Ormai il gruppo è ben affiatato e anche Stefano ha recuperato lo sforzo fatto il primo giorno controvento.
In circa 2 ore si arriva a intravedere le prime opere delle 9 dighe di Karahnjukar e anche la Polizia islandese diventa una presenza quasi costante. Due 4x4 della gendarmeria, con assetto rialzato da pista islandese, stanno presidiando la strada d'accesso all'accampamento del gruppo internazionale che sta protestando contro il progetto devastante. Addirittura una ruspa ha riportato della terra per impedire l'accesso ai veicoli che portano i rifornimenti ai ragazzi.
Evidentemente il Governo Islandese ha deciso il braccio di ferro contro una protesta pacifica, che sta dando molto fastidio.
Arriviamo al ponte che ci consentirà di attraversare Jökusla à Dal il fiume glaciale che verrà imbrigliato dalla diga. Scendendo i tornanti che portano all'accesso del ponte si nota che la piena ha portato addirittura molti pezzi di ghiaccio e diversi di questi si sono incastrati sul guard-rail del ponte deformandolo vistosamente. La terra scura bagnata indica il livello massimo raggiunto dall'acqua ieri!
In pratica il ponte è stato completamente sommerso. Oggi la situazione è decisamente migliore e, anche se l'acqua fa paura a vederla scorrere così veloce, non c'è alcun rischio e si passa tranquillamente. Dalla parte opposta della riva sorge la città dei 1.000 operai della IMPREGILO S.p.a., l'azienda italiana che ha vinto l'appalto della costruzione della diga. La pista aggira la città fatta da abitazioni costruite su base di containers fatiscenti e ormai logore dal clima inclemente delle Highlands. Poi più avanti sono posizionati gli enormi hangar delle officine dei mezzi meccanici.
La diga principale è ormai del tutto eretta ed è un imponente trapezoide rovesciato che unisce i due fianchi del canyon più bello d'Europa.
Oggi Stefano ha fatto l'andatura e gli altri hanno faticato non poco a stargli dietro. Tutti si sono chiesti il perché di tale prestazione alludendo a ipotesi surreali, ma la risposta, probabilmente, sta nel fatto che il riposo del giorno precedente è stato rigenerante.
A 5 km a valle della diga si sale per 2 km, fino ad una piazzola di sosta per le auto con tanto di cartelloni turistici che pubblicizzano sia il canyon del Jökusla à Dal sia la diga di Karahnjukar.
Il governo ha speso molti soldi per favorire una propaganda rivolta alle persone che arrivano qui da lontano affinché apprezzino più l'opera tecnologica che il danno che essa provoca.
Ed ecco che nella descrizione si fa riferimento a come la strada d'asfalto permetterà ai visitatori di arrivare rapidamente a vedere questi luoghi, e come il getto di scarico della diga sarà spettacolare e fonte principale delle attrazioni locali. Non mancano foto che simulano il lago ancora non esistente per creare già da ora un imprinting nella mente dei visitatori.
Ben diversa è la visita che facciamo alla profonda gola del canyon del Jökusla à Dal.
Lasciamo le bici nel parcheggio e ci inoltriamo a piedi su un sentiero ben segnalato. Le pareti del fiume in alcuni punti arrivano a toccare un'altezza di circa 150 metri.
I viaggiatori possono sporgersi sdraiati per ammirare l'incredibile luogo. Di fronte a noi la parete è un'opera d'arte naturale rappresentante la sequenza di più ere geologiche caratterizzate da colate laviche ciclopiche con diverse modalità di raffreddamento. Nella parte inferiore la fascia che è alta circa 40 metri e lunga 250 è evidenziata da un caotico miscuglio di lava che si deve essere raffreddata molto velocemente e i giochi delle rughe e delle protuberanze ci ricordano tanto l'architettura barocca che il cubismo di Pablo Ricasso. L'emozione nell'immergersi in questa visione naturale è forte.
In una piccola grotta in basso c'è una nicchia che custodisce un libretto che viene aggiornato dai viaggiatori che ne conoscono l'ubicazione. Marcello l’ha conosciuta per caso 3 anni fa. Aggiungiamo dei nostri pensieri, sensazioni e ispirazioni vicino a quelle degli islandesi, tedeschi, inglesi, francesi ecc…
Ma ora ci aspetta la parte più piacevole della giornata: il bagno nel ruscello di acqua geotermica di Laugarvellir.
Con le bici si scende una ripida strada che porta, dopo un guado poco profondo, ad una valletta verdissima e dall'aspetto pacifico. Sul lato di questa ampia e dolce valle un ruscello viene alimentato da sorgenti di acqua calda a 40°C. Qui troviamo già montate le tende per la notte e la grande tenda mensa. Questa notte infatti si dormirà in tenda.
Il bagno nel ruscello caldo è una piacevolissima sorpresa per tutti! La fatica della giornata viene cancellata in un attimo e il bagno ristoratore aumenta in tutti la consapevolezza di essere dei privilegiati che vivono un'esperienza unica ed indimenticabile in questa terra di contrasti. Come se non bastasse, a valle di 50 metri del ruscello, l'acqua compie un salto di 5 metri creando una cascata calda. Il rigenerante scroscio d'acqua a 36°C sulle spalle è il migliore degli idromassaggi!
L'ultima sorpresa della giornata è la cena con due cosciotti di pecora cucinati alla brace dalla nostra ormai mitica Matthildur.
Domani ci attende la tappa più dura: 106 km di deserto. Siamo tutti un po' emozionati. Breve briefing in previsione del giorno dopo per convincersi che bisognerà a tutti costi arrivare al rifugio DREKI sotto il vulcano Askja. Ci riusciremo?
Buona notte Islanda.

La lunga via verso il vulcano

8 agosto 2006 - Quinto giorno IBASPRENGISANDUR.
Giornata con un 100% di nuvole, vento a assente e temperatura di 5.7 °C.
Dal al Laugarvellir (600 mslm) al rifugio DREKI (Askja 800 m slm) . Pista sterrata, terreno sabbioso, rocce laviche e pietra pomice. Il giorno più lungo! Oggi infatti dovremo affrontare la tappa più lunga del viaggio ben 106 km di meraviglioso deserto nordico.
Sveglia alle 6:30 per preparare la colazione e le biciclette.
Sebastien non si fa scappare un bagno ulteriore nel fiume Laugarvellir di acqua a 40 gradi.
La colazione come sempre abbondante sotto la tenda mensa è il momento anche per parlare del tragitto e dell'organizzazione logistica della giornata.
Ieri ci siamo convinti che questa sera, ad ogni costo, occorre arrivare al rifugio Dreki per evitare un campo nel deserto battuto dal vento. Il percorso non prevede grandi dislivelli ma l'estensione del territorio e l'incognita del tempo possono giocare a favore o contro l'obiettivo della giornata.
L’organizzazione di Marcello si prepara a supportarci in maniera idonea per metterci nelle condizioni di affrontare il lungo e faticoso tragitto con il massimo dell'assistenza possibile per questi luoghi.
Intanto comincia a piovere, non abbondantemente ma in maniera costante: si parte con la pioggia!
Nel briefing si stabilisce, assieme a Luciano, il direttore sportivo di IBAS che è in assistenza ai ciclisti in bici, di fissare l'incontro per il pranzo al km 42+300. Fare questo per noi è semplice in quanto abbiamo le carte topografiche dell'Islanda caricate sul nostro computer portatile che sono georeferenziate e interfacciate con tutti i GPS di tutti noi ciclisti, in maniera da avere lo stesso punto di incontro.
Da oggi Luciano sarà dotato anche di telefono satellitare e in caso di emergenza può creare un collegamento con i due veicoli 4x4 dotati anch'essi di telefoni satellitari. Ridurremo, così, al minimo i rischi dei eventuali imprevisti.
Oggi Stefano preferisce non fare la tappa in bici, ha ancora la mano destra poco sensibile e non vuole compromettere tutto il viaggio in una tappa molto faticosa. Noi sei affrontiamo la salita che porta in alto della valle di Laugarvellir e ci dirigiamo, quindi a NORD per andare verso la pista F910 quella che ci porterà al vulcano Askja.
Dopo 13 km di pista in discesa il tracciato comincia ad immergersi in un deserto all'apparenza sterile e senza vegetazioni. E' chiaro che queste terre alte sono battute dai venti, la poca vegetazione nasce spontanea vicino ai torrenti e sono rari cespugli di fiori viola e muschi verdi chiaro. Ogni tanto il terreno della pista diventa sabbioso ma con la pioggia, la sabbia si compatta e i pneumatici delle bici non affondano. Intanto al campo di Laugarvellir, dove abbiamo dormito, mentre Matthildur e Adriana preparano il pasto del mezzogiorno, Marcello e Stefano completano l'articolo da inviare col telefono satellitare a il giornale “Il Treviso”. Appena finito il lavoro di cucina, smontano le tende e finiscono di caricare le macchine. Poi verso le 10:00 vanno a Brù, una fattoria sperduta con un rudimentale distributore di benzina, che li porterà fuori di 60 km dall'itinerario, per rabboccare i serbatoi delle due macchine. Ci saranno 400 km di deserto senza rifornimenti e il Land Rover di Matthildur non ha il serbatoio supplementare.
Intanto noi continuiamo a pedalare con una costanza incredibile. Sarà per la presa di coscienza dell'impegno odierno, sarà perché ormai il gruppo è completamente amalgamato e in sintonia, fatto stà che i tempi della mattina sono rispettati perfettamente.
Il GPS indica che siamo distanti dal rifugio Dreki appena 38 km in linea d'aria ma dato che stiamo andando verso OVEST in senso trasversale alla direzione dei grandi fiumi glaciali che vanno da Sud a Nord saremo costretti a percorrere molta strada quasi 70 km per raggiungere i due soli ponti che attraversano i due più grandi fiumi del centro NORD: il Fiume Yökuslà à Fjöllum e il Jökuslaràurar.
Marcello, Adriana a Matthildur ci raggiungono a 2 km dal punto d'incontro, ci superiamo e appena dopo preparano il pranzo. Siamo entusiasti per il paesaggio che scorre sotto i loro occhi, la pioggia ha smesso e ci concede la tregua per il pranzo.
Pastasciutta, verdure, frutta secca caffè o the e via di nuovo. Mancano ancora 60 km.
Il terreno ora diventa lunare, la pista si snoda in labirinti di roccia basaltica ricoperta a tratti dalla pietra pomice eruttata dall'Askja nel 1865 in un'eruzione disastrosa che ha fatto emigrare tutta la popolazione del nord est islandese.
La sabbia nera vulcanica ricopre la pista per lunghi tratti e il "ghirigoro" della pista attorno alle rocce di colata lavica raffreddata, dimostra come è caotico il territorio in questa zona. Il colore nero della sabbia è inframmezzato dal colore crema della pietra pomice e dal marrone viola scuro della lava pietrificata. La visibilità è buona e a tratti smette anche di piovere. Marcello con il 4x4 raggiunge il rifugio DREKI. Prima del nostro arrivo, preparano la stanza e scaricano tutti i nostri bagagli. Mentre Matthildur e Adriana infaticabili impostano la cena, Stefano e Marcello si alternano al telefono satellitare per essere pronto ad intervenire in caso di chiamata di Luciano. Prevedendo il nostro arrivo per le 20:00, ad ogni macchina che arriva al rifugio chiedono in inglese informazioni: "avete visto dei bikers sulla pista?" Fino alle 19:00 nessuno aveva visto ciclisti. Alle 19:05 un'auto di svizzeri comunica che a circa 10 km aveva superato 6 ciclisti. “Sono loro! Sono in arrivo in anticipo.”
Arriviamo per primi io e Gigi, e dopo 5 minuti gli altri assieme.
E' festa e veniamo accolti come eroi della giornata. Siano tutti stanchi, ma entusiasti dell'impresa ormai conclusa e raccontiamo come sono andati gli ultimi 30 km.
Gigi racconta: "Ad un certo punto Sandro ha chiesto di percorrere gli ultimi chilometri ad una andatura leggermente minore, perché si sentiva stanco e non riusciva a mantenere il ritmo. Allora gli ho detto: vai avanti e fai tu l'andatura. Sandro ha accettato di passare avanti e appena ha preso il ritmo ha cominciato a seminare tutti, allora ho cercato di seguire il suo ritmo e siamo arrivati qui a Dreki prima di tutti."
Gli altri hanno confermato che non erano in grado di tenere il passo di noi due che evidentemente avevamo trovato il giusto equilibrio.
Felicità di trovare una doccia calda e la cena pronta bollente e abbondante.
Islanda: un sogno che si sta avverando giorno dopo giorno! Beatrice nel libro del rifugio Dreki ha scritto: "quinta tappa del tour IBAS SPRENGISANDUR. Siamo in 10 ad affrontare questa splendida avventura, in questa meravigliosa isola, che ci regala ogni giorno emozioni nuove e sempre più forti."
Domani giornata di riposo con una mattina di pigro rilassamento e al pomeriggio escursione in bici al cratere dell'impressionante vulcano Askja e del suo piccolo cratere Viti.
Buona notte Islanda.

Nel cratere

9 agosto 2006 - Sesto giorno IBASPRENGISANDUR.
Giornata con un 10% di nuvole, vento assente e temperatura di 7.5 °C.
Rifugio DREKI, salita al cratere Askja 1200 m slm. Pista sterrata su colata lavica dell'eruzione del 1865.
Sveglia alle 9:30…oggi è finalmente una mattinata di riposo e ce la prendiamo comoda.
Dopo la colazione siamo liberi di fare quello che vogliamo fino alle 13:30 ora di pranzo. I pasti, qui al rifugio Dreki si consumano piacevolmente nella sala mensa-cucina. Questo edificio è stato realizzato alla fine del 2004 ed è entrato in servizio nel 2005. Dispone di due camere da 4 posti al piano terra, una camerata da 30 letti, più una seconda camerata da 12 nel piano superiore. I gabinetti sono esterni e sono quanto di meglio si possa trovare nel "nulla" con docce calde e water nuovi e ben tenuti. In Islanda i gestori dei rifugi sono dei volontari, generalmente giovani che impegnano le loro vacanze in posti come questo. Il loro compito è ricevere le prenotazioni, tenere pulito il rifugio e riscuotere i pagamenti.
La cucina viene utilizzata direttamente dai viaggiatori che si devono mettere d'accordo per gli orari di utilizzo se, come nel caso nostro, sono gruppi numerosi. Assieme al gestore del rifugio, se questo è di importanza strategica nel territorio, è affiancato un Ranger. Generalmente questo è una persona esperta di meteorologia, territorio e trasmissioni radio. Il ranger è la persona che dispensa consigli, fornisce informazioni sulle piste da percorrere, lancia gli allarmi su improvvisi cambiamenti del tempo e, a volte, controlla se ci sono delle violazioni di legge.
In Islanda è assolutamente vietato andare fuori pista. Il terreno è talmente delicato che i segni dei pneumatici di un 4x4 sul terreno possono perdurare per 50-60 anni prima che l'azione degli agenti atmosferici possano cancellarli. Per tale motivo un fuoristradista sorpreso a uscire dalle piste viene immediatamente multato salatamene, viene scortato al porto d'imbarco e gli viene interdetto l'ingresso all'isola per ben 10 anni! E vi assicuro che qui la legge la fanno rispettare!
Oggi sono arrivati altri 4 ciclisti dell'agenzia Kajlas di Milano. Sono 4 toscani che stanno facendo l'Islanda a tratti in bici e a tratti in auto.
A differenza di noi, loro contemplano l'utilizzo dei mezzi di assistenza per spostarsi per lunghe distanze.
Alle 14:00 dopo il pranzo ci prepariamo all'escursione al cratere Askja. Si tratta di salire circa 250 metri di dislivello in 9 km su una pista tracciata sulla impressionante colata lavica della eruzione del 1865.
Durante questa eruzione la massa di lava sgorgata camminò per ben 34 km verso nord. La massa di pietra pomice lanciata in alto dalla violenza dell'eruzione fu di circa 2.250.000 tonnellate e alcuni pezzi di questo materiale arrivarono fino in Giappone.
La salita in bicicletta la si fa in 45 minuti e ormai il nostro allenamento consente di non accusare alcuna stanchezza in cima alla salita.
Dal parcheggio delle auto posto a 1100 mslm si entra, con un sentiero, dentro il cratere vero e proprio.
Il diametro del cratere è di circa 4 km ed è suddiviso in un'area secca da percorre a piedi, (o nel nostro caso in bicicletta), e un altro sub-cratere al livello inferiore di 30 metri dal primo che funge da raccolta dell'acqua piovana e di scioglimento dei nevai. Al lato di questo secondo cratere negli anni '90 si è aperta una nuova bocca di fuoco che ha creato un piccolo cratere di circa 300 metri di diametro. Il fondo di questo cratere che si chiama VITI, letteralmente "inferno", è pieno di acqua calda a 25 °C di color latte.
Il sole, finalmente, ci accompagna in questa fantastica escursione.
Il percorso dal parcheggio a VITI è un susseguirsi di variazioni di colori dal nero, al blu scuro e al rosso fuoco. La neve, bianca con venature di nero della polvere vulcanica depositata durante qualche tempesta di vento, stacca con tutto il resto. Dopo aver visitato il lago più grande affrontiamo la discesa dello stretto e ripido canalone di fango di VITI. Sembra di entrare veramente in un accesso infernale. Sui lati delle pareti del vulcano minacciose fumarole indicano che l'attività geologica non si è fermata e l'odore di zolfo ci immerge in un'atmosfera surreale.
La spiaggetta nera consente di entrare in acqua lentamente poi il fondo precipita per ben 100 metri. Non ci si rende conto della profondità perché il colore latte dell'acqua impedisce di vedere già dalla vita in giù.
La conformazione geometrica e il silenzio del cratere permettono di amplificare i suoni e le voci anche di intensità minimi. E' sufficiente sussurrare per comunicare perfettamente con una persona dall'altra parte del lago.
La sensazione del bagno in questo luogo per sempre rimarrà impressa in noi che abbiamo avuto il "coraggio" e la fortuna di immergerci.
Foto, filmati e poi via in sella alle biciclette lanciati in una meravigliosa discesa su MARTE lunga 9 km!
Buona notte Islanda.

Dalle sabbie al bivacco

10 agosto 2006 - Settimo giorno IBASPRENGISANDUR.
Giornata con un 20% di nuvole, vento assente e temperatura di 4.5 °C.
Rifugio DREKI al rifugio Kistufell, 1050 m slm. Deserto di sabbia nera, risalita di un delta di fiume glaciale e salita su collina formata da un accumulo di pietre basaltiche.
Qui nello stanzone del rifugio DREKI abbiamo l'impressione che di notte si attivi una "falegnameria" che sega legna a nastro e costruisce tavoli, sedie e mobiletti. Luciano comincia a russare sommessamente dopo appena 10 minuti dalla buona notte, Gigi lo imita dopo circa mezz'ora e si sono aggiunti al lavoro di "artigianato locale", alle 3 di questa mattina, due tedeschi con la loro guida islandese.
La sveglia suona alle 6:30. Oggi entriamo nella parte del percorso più impegnativa. La risuscita delle due prossime tappe, quella d'oggi e quella di domani, è fortemente influenzata dalle condizioni meteorologiche: se la temperatura dell'aria fosse troppo calda il ghiacciaio Vatnajokull rilascerebbe molta acqua e i guadi da affrontare potrebbero essere insuperabili. Se, di contro, la temperatura fosse troppo rigida, vicina allo 0°C, correremmo il rischio di trovare all'indomani nevicate nella parte alta del percorso.
Oggi l'obiettivo è quello di arrivare al rifugio Kistufell a 1050 metri slm. Questa quota corrisponde come vegetazione e clima ai 2.500 metri slm delle nostre Alpi.
Dopo la colazione nella cucina mensa del rifugio si preparano gli zaini, e si programmano i GPS.
Oggi è molto importante avere questo strumento perché dovremo attraversare il piccolo deserto di sabbia nera con piccole dune basse. È difficile a credersi, ma in questi posti esiste un deserto di sabbia che si estende per 30 km. Si presenta al viaggiatore con tutto il suo fascino e il suo rischio e si chiama deserto Djngjusandur.
Nelle giornate di forte vento quando la sabbia si asciuga, tutto il pianoro di 30 km del Djngjusandur viene investito da vere e proprie tempeste di sabbia che riducono la visibilità a pochi metri. In questi casi l'unico aiuto, per chi si avventuri in questi luoghi, sono le balise (pali gialli di plastica alti 1 metro e piantati ogni 100 metri) che indicano la traccia da seguire o il GPS con la traccia dei i punti di passaggio.
Volendo accorciare il percorso, se le condizioni generali dei fiumi lo consentono, si può deviare dopo circa 13 km di deserto in direzione SUD-OVEST per immettersi in un delta di fiume dal fondo molto compatto e della larghezza di circa 2 km. Su questo larghissimo letto si può puntare all'attacco della salita di Kistufell proprio a ridosso della altissima morena del Vatnajokull che in questo punto ha un fronte dello spessore di circa 40 metri.
E' da questo intricato e caotico fronte di ghiaccio, rocce e sabbia che il poderoso fiume Yökuslà à Fjöllum nasce e si sviluppa.
La scorciatoia, se così si può definire, ci farebbe risparmiare circa 8 Km. Si parte con le mountain bike alle 08:15 e il percorso aggira con un grande semicerchio il vulcano Askja in senso orario. Il deserto di Djngjusandur comincia dopo circa 8 km di pista su fondo giallo di pietra pomice.
Dirigiamo le biciclette verso OVEST controllando attentamente il GPS e le mappe per mantenere la giusta traiettoria. La sabbia è buona, permette di pedalare senza assorbire troppa potenza delle gambe. Si riesce a mantenere la corona del 32 denti e il pignone da 15. E' come affrontare una salita del 10% su asfalto costante e lunga 8 km.
Nel deserto di Djngjusandur questa è una condizione ottimale se si tiene conto che alcuni resoconti di ciclisti che hanno attraversato questo deserto, riportano condizioni della sabbia tali da averli costretti a spingere la bicicletta per diversi chilometri. Abbiamo appuntamento con le auto di assistenza proprio nel punto di inizio della scorciatoia. Le auto ci raggiungono puntualmente un chilometro prima. Marcello con la Toyota si spinge sul letto Yökuslà à Fjöllum per saggiare le condizioni dell'acqua e dopo 6 km ritorna con una buona notizia: si può percorrere il tratto di 15 km perché l'acqua è molto bassa e i rivoli del delta sono pochi. La bassa temperatura della giornata ci sta favorendo. Il sole sta inondando il deserto nero permettendoci di godere appieno questa situazione.
Facciamo un breve spuntino sulla sabbia. La visibilità è ottima e l'occhio riesce a vedere profili di vulcani a distanze enormi. A sinistra, a SUD, l'immensa calotta del Vatnajokull, il ghiacciaio che ci sta accompagnando dal primo giorno; a destra il colossale cratere scomposto dell'Askja. Dietro di noi, a EST, si staglia libero dalle nubi il monte Snaefell mentre di fronte a noi ci interrompe la vista a perdita d'occhio il vulcano Trölladyngja, piatto e simmetrico cono di 1460 mslm coperto da nevai.
La risalita del fiume non presenta difficoltà, si alternano tratti di sabbia duri a rivoli d'acqua molto bassa da attraversare.
I 15 km di pista si affrontano in 1 ora e mezza. Alla fine il cono del delta si restringe a 300 metri proprio dove la morena del ghiacciaio comprime il fiume dalla collina Urðarhàls di 823 mslm formata da un ammasso impressionante di pietre basaltiche grigie chiare tutte di dimensioni non superiori a quelle di lastre di porfido. In questa strettoia l'acqua sgorga dalla morena ricoprendo al 70% il letto del fiume e proprio in questo punto che ci troviamo a guadare il corso d'acqua pedalando forsennatamente.
La temperatura dell'aria ormai si è alzata, l'effetto ottico dell'attraversamento dei rivoli dà l'impressione che più si avanza è più cresce l'acqua. Siamo titubanti, non abituati a situazioni di questo tipo e cerchiamo di raggiungere il lato sinistro del fiume e portarci il più velocemente possibile all'asciutto su un terreno sicuro. Siamo fuori dal primo grande rischio.
Matthildur e Adriana ci hanno preparato un pranzo in questo posto, elevati di circa 30 metri dal letto del fiume.
Finito di rifocillarci i 4x4 cominciano ad affrontare la salita sui lastroni di basalto dalla collina Urðarhàls che ormai abbiamo soprannominato il "pavé islandese". Su questo lastricato scomposto la velocità della fuoristrada è molto vicina a quella delle nostre mountain bike 4-5 km/h. Le auto hanno dimensioni tali che le costringono a traiettorie obbligate, la mountain bike dimostra in questi frangenti una agilità enorme permettendo di appoggiare le ruote sui sassi più "comodi". È talvolta perfino divertente giocare d'equilibrio con il terreno.
Si procede così per circa 7 km senza fare fatica. Lo scenario cambia e ora il Kistufell, letteralmente la "montagna a forma di scrigno" , si frappone tra noi e il ghiacciaio Vatnajokull. Quando siamo nella sommità della collina di pietre Urðarhàls improvvisamente a 10 metri dalle nostre ruote anteriori si apre una voragine enorme. Ci fermiamo sul ciglio di questo enorme depressione a forma di fagiolo che sembra scavato da una gigantesca ruspa. Non ci sono colate di lava, riporti di detriti: è sicuramente un antico cratere. Forse un geologo ci potrebbe spiegare questa stranezza islandese. Ci sporgiamo e immaginiamo la potenza che ha potuto generare l'apertura di questo cratere profondo 60 metri.
Riprendiamo ora scendendo la pietraia a OVEST ed ecco che a 2 km, verso il monte Kistufell, si vede finalmente il piccolo bivacco ancorato sulla pendice sabbiosa della montagna.
Il terreno ora cambia diventando sabbioso-ghiaioso. Due ripide salite da affrontare spingendo le bici ci portano al bivacco dove Adriana, Matthildur e Marcello hanno organizzato le due stanzette per la cena e ci accolgono come eroi. Siamo esaltati dal raggiungimento della meta odierna, ci congratuliamo tra di noi con l'ululato dei lupi che è diventato simbolicamente il nostro grido di festeggiamento. A queste latitudini il sole tramonta intorno alle 22:00 e la lunga giornata ci permette ancora delle visioni incomparabili regalandoci scenari, emozioni ed esperienze in una terra sconosciuta.
Prima di cena ci rendiamo conto che nelle immediate vicinanze del Bivacco Kistufell non c'è acqua.
Occorre andare a cercarla per cucinare. Marcello e Stefano percorrono in Toyota circa 6 km di pista verso ovest per attingere ad un fiume di scioglimento circa 20 litri d'acqua piena di limo. Al bivacco poi cerchiamo di filtrarla con i filtri del caffè, ma l'impresa si dimostra lunga. Lasciamo precipitare il limo nei pentoloni per circa mezzora e a quel punto anche se l'acqua non è trasparente, sotto indicazione di Matthildur la testiamo bevendola.
Non fa una bella impressione a vedersi, ma è bevibile e ottima per cucinare!
Dopo un ora comincia a piovere e Stefano ha la brillante idea di raccogliere l'acqua piovana dal tetto del bivacco. Si attrezza con le bottiglie di plastica e in 20 minuti riempie nuovamente i pentoloni di acqua purissima: bravo Stefano!
La temperatura all'esterno è scesa a 3,5°C e ne siamo lieti!!! Domani sicuramente i guadi saranno tutti fattibili. Speriamo solo che non nevichi.
I posti letto nel bivacco sono solo 8. Marcello, Adriana, Matthildur e Luciano dormono in tenda, a 50 metri dal piccolo rifugio.
Buona notte Islanda.

Il giorno dei guadi

11 agosto 2006 - Ottavo giorno IBASPRENGISANDUR.
Giornata con un 100% di nuvole, vento 27 Km/h da Ovest e temperatura di 2.3 °C.
Dal rifugio Kistufell, 1050 m slm al Rifugio Þvermòður (fiume Nydalur) Salita a 1200m slm, punto più alto del viaggio, su colate laviche e torrenti di scioglimento del ghiaccio Vatnajokull, terreno sconnesso, passaggi su lastroni di basalto compatti e piatti. Pista ondulata e guadi alti. 56 Km totali.
La notte è stata caratterizzata da colpi di vento formidabili che si ripetevano intramezzati da calma piatta assoluta dell'aria. Nel bivacco, diversamente, la quiete era totale. La costruzione risalente a 20 anni addietro è ottima e ben isolata tanto che abbiamo sofferto anche un po' di caldo!
Questa mattina dobbiamo affrontare i guadi più impegnativi.
Adeguandoci alla naturale variazione giornaliera dei livelli dell'acqua dei fiumi glaciali, decidiamo di partire molto presto regolando la sveglia alle 4:30 del mattino. Ci alziamo e controlliamo subito il termometro: 2.5 °C.
E' freddo e noi ne siamo felici perché il ghiaccio si scioglierà molto lentamente. Piove e il vento sta rinforzando da ovest, lo avremo proprio di fronte…Meglio la pioggia e il vento che i guadi alti con corrente.
Dopo una buona colazione ci avviamo, ululando come ormai di consuetudine, nella discesa di sabbia che porta dal rifugio alla pista Gæsavatneleið famosa in Islanda per essere la più difficile pista per i 4x4 in parte già percorsa da noi ieri.
Diversi libri editi nell'isola raccontano delle difficoltà e dei pericoli che corrono i viaggiatori affrontando questo percorso; nei rifugi sono esposti avvisi nelle varie lingue che mettono in guardia gli autisti dei 4x4 contro i possibili pericoli che si possono presentare approcciando la pista senza adeguata preparazione.
Luciano racconta che negli anni precedenti sono stati bloccati da una piena eccezionale nella parte bassa della pista e una seconda volta, lo scorso anno, hanno rinunciato ad affrontare la Gæsavatneleið perché ricoperta da 50 cm di neve già dal rifugio Dreki.
Già nei primi km dobbiamo affrontare il freddo intenso unito alla pioggia e al vento contro.
La parte di salita ci permette di scaldare un po' i muscoli. La ricerca del migliore appoggio delle ruote richiede impegno e uno notevole sforzo di attenzione. Mi sento parte di questo mondo surreale di rocce nere e sassi sapientemente sovrapposti, avvolto nella nebbia biancastra.
Ma basta un attimo e le vedute che registriamo, e le sensazioni che sperimentiamo, ci risvegliano e si svelano in tutta la loro grandiosità: pinnacoli di rocce, colate di lava raffreddate su precedenti colate, colonne di rocce accumulate da mani rispettose quasi in segno di dono propiziatorio agli spiriti di queste misteriose terre. E sotto la pioggia, con i muscoli dolenti per la salita, ci fermiamo per catturate delle bellissime immagini.
Le mani intirizzite corrono alle macchine fotografiche e le dita irrigidite escono a fatica dai guanti cercando l'inquadratura meno riduttiva per fissare nei pixel almeno il riflesso di questi luoghi e di questo tempo.
Ed è oggi, nonostante il tempo inclemente e il freddo pungente, un continuo avvicendarsi di pedalare e fermarsi per quanto numerose sono le improvvise variazioni di visuale e le rivelazioni inaspettate. Il fiore nascosto dove non penseresti, la configurazione naturale di fessure che sembrano disposte da mano umana, la traccia lasciata chissà quanto tempo prima da un'altra persona…
Dopo l'ennesimo guado, i piedi sono ormai diventati quasi insensibili. Marcello e Mattildhur ci raggiungono con le auto e portandoci, meraviglia, una cioccolata calda.
Cosa? Qui? Su questa pista isolata? Vicino al mitico Spregisandur? Una cioccolata bollente?
Forse una bufera di neve sarebbe stata più appropriata vista la giornata e la temperatura: 3 gradi e vento gelido contrario.
L'occasione è buona per l'ennesima, stupefacente foto. Durante la sosta anche Sebastien e Beatrice, pur particolarmente resistenti alle intemperie, cercano il momentaneo ristoro al caldo dentro l'auto.
Ma è giusto un attimo…e poi si riparte mentre le auto ci precedono. Avanziamo nel freddo impostando il "pilota automatico"…niente di tecnologico: intendo quel aggeggio mentale che di fronte alla sofferenza fisica non ti fa dire "ma chi me l'ha fatto fare" ma ti permette invece di continuare a pedalare perché tanto prima o poi passa.
E fortunatamente, scendendo di quota, la temperatura si alza un po'. Comunque, con un massimo di 6/7 gradi, i guadi non ci sono molto graditi e facciamo difficoltà a credere a Marcello quando afferma che siamo fortunati per il freddo che impedisce un flusso troppo impetuoso delle acque…forse lui pensa all'auto e, ovviamente, in questo, ha ragione.
La tecnica di attraversamento di un guado consiste innanzitutto nell'armarsi di pazienza quindi togliersi le scarpe, mettersi le scarpe da scoglio, passare il guado, asciugarsi e rivestirsi. Diversamente, passando in fretta, si corre il rischio di percorrere parecchi chilometri con i piedi bagnati e la cosa, è successo, non è piacevole.
Siamo da pochi chilometri finalmente sulla SPRENGISANDUR (si legge in islandese sprenghisandùr).
La partenza anticipata questa mattina ci mette nelle condizioni di poter arrivare alla fine della tappa entro l'ora di pranzo e mangiare all'asciutto nello stanzone prenotato per noi.
Dopo l'ennesimo guado con acqua torbida e corrente potente risaliamo in bici per gli ultimi chilometri, le ultime salite, gli ultimi guadi, sempre immersi in questi paesaggi stupendi che cominciano a sovrapporsi nella memoria visiva creando un labirinto mentale analogo al susseguirsi delle curve distese su queste montagne e colline.
Dal rifugio, vicino alle auto dell'assistenza Marcello, Adriana e Matthildur ci attendono con il fiato sospeso.
Il telefono satellitare è acceso per potersi attivare immediatamente per qualsiasi problema, la tappa di oggi non è da sottovalutarsi affatto.
Bea è una potenza senza fine si tuffa giù per l'ultima discesa, ha visto il rifugio e ha accelerato l'andatura, ma ci attenderemo che si fermi sulla sponda del fiume per levarsi le scarpe e mettersi le scarpette di neoprene, ma la stessa grintosa ragazza ci sorprende tuffandosi senza rallentare la corsa alla massima velocità nell'acqua trasparente e con vigorose pedalate e enormi spruzzi riemerge prima che possiamo puntare le macchine digitali per cogliere l'attimo che sfugge!
È seguita a 50 metri da Sebastien che per emulazione si tuffa anche lui nel guado con delle grida di gioia, tanto tra pochi minuti saranno nel rifugio a farsi una doccia calda. Arriviamo anche noi Stefano, Gigi, Luciano e Matteo. Siamo felici, la pista Gæsavatneleið è stata domata dalle nostre biciclette! Il 2006 sarà un anno che sarà ricordato da molti: un gruppo di 7 biciclette ha attraversato la pista Gæsavatneleið dal vulcano Askja al rifugio Þvermòður passando per Kistufell.
Siamo ormai riuniti attorno al tavolo a pranzare e a raccontare la grande avventura da eroi del giorno.
Un ululato di branco di lupi si diffonde per il rifugio.
Niente paura: siamo noi!
Buona notte Islanda.

Nello Sprengisandur

12 agosto 2006 - Nono giorno IBASPRENGISANDUR.
Giornata con un 30% di nuvole, vento 10 Km/h da Nord-Ovest e temperatura di 11 °C.
Dal Rifugio Þvermòður alla vecchia stazione di servizio dimessa di VERSALIR. Sprengisandur ondulato con pista di sassi e toule ondulee per 57 Km totali.
Ieri pomeriggio, dopo la grande fatica abbiamo dedicato il resto della giornata al riposo e a rimettere a posto le biciclette fortemente provate dalla pista Gæsavatneleið. La bicicletta di Stefano ha ricevuto un duro colpo sulla forcella che è rimasta piegata e disassata rispetto all'asse del telaio.
Per sistemarla ci inventiamo un banco da assetto utilizzando il basamento in legno del rifugio come maschera di bloccaggio del telaio legandolo con una cinghia a cricco. Poi avviciniamo la Toyota al basamento e imbrigliamo la forcella della bicicletta in corrispondenza del mozzo della sua ruota anteriore con una cinghia "strop" con megacricco del tipo utilizzato dai camionisti per legare i carichi ai pianali; l'agganciamo alla 4x4 in corrispondenza del paraurti posteriore e tiriamo. Ci vogliono ben tre tentativi con relative verifiche dell'assetto della ciclistica per riportare la forcella in una posizione corretta almeno ad occhio. Stefano può continuare a pedalare in condizioni di assetto buone, poi la sistemazione finale della bike si farà a casa con calma e con gli attrezzi idonei.
Rimane il tempo prima di cena per un primo bilancio dell'efficienza dell'organizzazione IBASPRENGISANDUR dopo le tappe che si sono affrontate fino ad oggi. E' andato tutto liscio come l'olio, Marcello, Luciano, Stefano, Matthildur, Adriana sono concordi che la prima edizione di IBAS fino ad ora ha funzionato come un orologio svizzero, complice anche le condizioni di tempo non impossibili. I viaggi di questo tipo nel deserto devono essere attentamente pianificati per evitare che accadano grandi inconvenienti ai mezzi e alle persone. Bisogna, inoltre, essere in grado di far fronte alle piccole incognite prevedendo i materiali che occorrono, le persone da contattare, i luoghi da raggiungere in caso di necessità. Il margine di imprevedibilità lascia comunque spazio a soluzioni creative e dettate dall'esperienza che costituiscono il bagaglio degli organizzatori.
La luna, dopo cena fa la sua comparsa da dietro la montagna ghiacciaio Tungnafellsjökull 1520 mslm, probabilmente domani il tempo sarà buono.
La sveglia è, fissata per le 07:45.
La colazione viene consumata nello stanzone dormitorio al primo piano. Dopo aver preparato sapientemente le borracce con i sali minerali indispensabili per affrontare le fatiche della giornata, partiamo con uno spirito di rilassatezza dovuto alla consapevolezza che il tratto più difficile del viaggio è ormai alle nostre spalle.
Appuntamento con il pranzo nel centro dello Sprengisandur alle 13:00.
La pista è scorrevole, il vento ci aiuta spingendoci un po'. Occorre trovare il terreno ideale per le ruote delle biciclette che devono evitare la toule ondulee creata dai pneumatici dei 4x4.
Il paesaggio si allarga in questo enorme vallone che divide i due ghiacciai, il Vatnajokull e il Hofsjökull. La vegetazione è rarissima e posizionata in quelle poche zone dove d'estate l'acqua sgorga con una certa regolarità dal terreno.
Ci vengono in mente le foto in bianco e nero d'epoca della prima attraversata dello Sprengisandur compiuta da dei pionieri a bordo di un'auto aperta nel 1933. Erano proprio questi giorni dell'anno e la cronaca del diario del viaggio riporta le stesse difficoltà incontrate da noi ciclisti 73 anni dopo.
Il grigio del terreno ghiaioso si spinge fino alle basi dei ghiacciai. La desolazione del deserto nordico ci accompagna per 50 chilometri. La sensazione di immersione in questo inconsueto scenario è bellissima.
Il sole fa capolino e nell'ennesima sosta ci sdraiamo sul manto ghiaioso riscaldato. E’ un effetto benefico e rilassante per il corpo che ha subito i sobbalzi giornalieri e per lo spirito che ha maniera di unirsi con gli elementi base della nostra vita.
Ci fermiamo a fare spesso foto.
Arriviamo alla vecchia stazione di servizio dimessa di Versalir, porta d'ingresso dello Sprengisandur da sud.
Il locale è stato aperto apposta per noi dal suo gestore. Fino al 2000 c'era una pompa di benzina che riforniva i pochi veicoli che non avevano la possibilità di portarsi dietro taniche di carburante aggiuntivo e arrivavano qui con il serbatoio ormai agli sgoccioli. Poi la pompa è stata rimossa e la stazione di servizio chiusa. Solo la passione del biondo Siggi ha permesso la riapertura della base del deserto su prenotazione.
Va un ringraziamento di Siggi per questo e la preparazione di uno squisito dessert a base di cialda calda con marmellata e panna. Gli islandesi sono fatti così.
Buona notte Islanda.

Paesaggi vulcanici

13 agosto 2006 - Decimo giorno IBASPRENGISANDUR.
Giornata con un 100% di nuvole, vento 15 Km/h da Nord-Ovest e temperatura di 9 °C.
Dalla vecchia stazione di servizio dimessa di VERSALIR a Landmannalaugar. Sprengisandur ondulato con pista di sassi e toule ondulee. Pista su regione vulcanica tra lava e rocce vulcaniche 80 Km totali.
Sarà perché oggi è il 13, sarà perché fino ad oggi tutto è andato per il meglio, almeno per quanto riguarda i mezzi meccanici, sarà perché qui in Islanda si racconta che ci sono aree che sono di proprietà di spiriti bricconcelli e Troll antipatici, fatto sta che la giornata comincia con un brutto presagio: appena pronti per partire, Sebastien nel gonfiare la ruota anteriore della sua mountain bike rompe la valvola della camera d'aria.
Questo fa ritardare la partenza per l'obbligata sostituzione della camera d'aria danneggiata con una nuova. Sostituito il pezzo il gruppo sta nuovamente per partire dalla stazione di servizio dimessa di Versalir che ci ha ospitato per la notte quando Matteo si accorge che il suo pneumatico posteriore è stato massacrato dallo Sprengisandur e presenta un "bozzo" evidente e preoccupante in corrispondenza del cerchione. Che fare? Matteo dice che lui parte lo stesso e che strada facendo verificherà se intervenire o meno.
Il grigio del cielo copre tutto il territorio, che riusciamo a spaziare con la vista, e l'aria è carica di umidità. Sembra che debba piovere da un momento all'altro. Eppure il tempo viene dato in miglioramento. Anzi, le previsioni arrivate via fax alla stazione di Versalir, dicono che avremo 2 giorni di bel tempo.
In Islanda, le previsioni meteorologiche sono sempre azzeccate, ma sappiamo anche che parlare di tempo oltre le 24 ore non ha senso. Fiduciosi del lavoro dei meteorologi si comincia a pedalare sapendo che con il volgere della giornata le nuvole dovranno cedere spazio anche all'azzurro.
Partito il gruppo come ogni mattina, mentre Matthildur e Adriana si danno da fare per preparare il pranzo per i ciclisti, Marcello riordina gli alloggi e carica i bagagli del gruppo sulle macchine, e prima di accendere il 6 cilindri della sua Toyota si concede una doccia e, neanche farlo apposta, mentre è insaponato, bussa alla porta della doccia Adriana, che mi passa un foglietto scritto da Luciano.
Il pezzo di carta è arrivato qui a Versalir portato da un gentile autista di autobus 4x4, che ha fatto una deviazione per portare la missiva: "Matteo è fermo a 8.4 Km dalla partenza con il copertone della ruota dietro squarciato. Serve un pneumatico nuovo".
E’ grave che nessuno di noi abbia portato con se un pneumatico di riserva! Cosa sarebbe successo se invece di 8 km ne avremmo percorsi 40 km? Pazienza, cercheremo di capire perché questo è avvenuto e di porvi rimedio per le prossime tappe.
Marcello arriva rapidamente al km indicato e vede che ci stiamo dando tutti da fare per sistemare la gomma. Siamo comunque allegri e scherzosi. Io per l’occasione compongo una struttura di pietre sovrapposte, per ottenere un buon augurio dai Troll.
Consegnato il pneumatico, la riparazione avviene in pochi minuti e si riparte. Il morale del gruppo è alle stelle, il viaggio, ora, sembra quasi rilassante e tutti sono uniti nell'andatura quasi turistica.
È così che deve essere. Il viaggio in questi posti deve avere come obiettivo quello di arrivare. Non serve a nulla fare una gara con se stessi o con gli altri per provare chissà che.
La bicicletta è il mezzo che ci consente di spostarci sul territorio. In certi casi se si dovesse rompere, potrebbe compromettere il viaggio del singolo o di tutto il gruppo; meglio conservarlo bene senza rischiare danneggiamenti che in Italia potrebbero essere delle sciocchezze, ma che qui, a 300 km dal più vicino meccanico, potrebbero rappresentare dei seri problemi da risolvere.
Il ciclista è il motore che permette al mezzo uomo-bici di poter viaggiare. Sprecare troppe energie, o farsi male per un momento di adrenalina in più, potrebbe essere fatale al viaggio. Noi sette di IBAS ce ne siamo resi conto già dal terzo giorno, quando Gigi in una discesa è rovinosamente caduto sulla faccia.
In quel frangente il casco ha fatto il suo dovere, ma se le conseguenze della caduta fossero state ben più serie di un taglio sulla guancia, allora avremmo potuto dire addio al viaggio.
Tutti si sono resi conto di come è facile distruggere in un attimo un sogno che è stato da tanto tempo desiderato e ne hanno tratto ognuno a modo proprio le conclusioni. Dopo quel episodio il gruppo si è compattato adeguando la velocità di tutti a quella del biker che quel giorno andava più piano e arrivando a destinazione sempre uniti!!!
Anche oggi, le auto devono allungare il percorso per arrivare alla prima stazione di servizio che si incontra a sud dello Sprengisandur, la stazione di Hrauneyier. Fanno il pieno alla Land Rover di Matthildur e si concedono un caffè seduti in attesa che arrivino le 13:30, ora prevista per l'incontro con noi bikers.
Il tempo puntualmente migliora e si cominciano a vedere degli squarci di azzurro. Si pedala tra grandi laghi artificiali.
Qui la regione è stata utilizzata per altri bacini idroelettrici, costruiti tra il 1995 e il 2001.
Il cognato di Matthildur, Gunnar, è un ingegnere termotecnico che progetta impianti per lo sfruttamento dell'energia geotermica. La sua azienda è leader nel mondo ed esporta impianti e consulenze in tutto il mondo, Italia compresa.
A proposito delle dighe di Karahnjukar dice che l'energia occorrente per fare funzionare l'ALCOA poteva essere estratta tranquillamente per il 100% dal sottosuolo islandese. Non solo, che tutta l'energia richiesta in futuro all'Islanda e alle industrie che vorranno investire in Islanda in tecnologie, potrà essere soddisfatta utilizzando la geotermia a costi concorrenziali.
Occorre cercarla e questo non è un lavoro che fanno le imprese americane, che non trattano la tecnologia per motivi economici e di politica economica. Lui, islandese, tecnico conoscitore di un tipo di energia inesauribile, dice che le grande opere idrauliche in Islanda sono inutili e dannose e che è un biglietto che gli islandesi devono pagare agli Stati Uniti per avere in cambio strade ponti e macchine per la movimentazione terra.
In effetti ho notato che il numero di ruspe e macchine operatrici in Islanda, rispetto al mio precedente viaggio, è aumentato in quantità evidente in ogni paesetto che si incontra…Caterpillar ovviamente.
Anche la Ring Road, la strada che collega tutte le località islandesi, e che corre per tutto il perimetro dell'isola, è ormai completamente rifatta e asfaltata con nuovi ponti e due gallerie di discreta lunghezza.
Insomma, il governo islandese con le sue risicate entrate derivanti dalle tasse di appena 250.000 abitanti/contribuenti non avrebbe mai potuto permettersi di sistemare la sua strada più importante.
Ecco che in appena due anni ben 2500 km di strada è stata praticamente rifatta: chi ha pagato?
Probabilmente Karahnjukar è il rovescio della medaglia di tante cose che stanno avvenendo qui.
Il pranzo lo facciamo al bivio che sgancia il nostro percorso dallo Sprengisandur.
Ormai la pausa del pranzo è un momento per ritrovarci e per raccontarci le avventure su due ruote.
Non ci sono stati altri problemi tecnici nei 40 km percorsi e la voglia di arrivare al Landmannalaugar è tanta.
Per arrivarci occorre attraversare una delle zone più affascinanti dell'Islanda. Un parco protetto caratterizzato da un numero impressionante di vulcani, colate laviche e laghi naturali. La caratteristica di questa area è che i vulcani sono quasi completamente ricoperti da muschi che vanno da un verde chiaro pallido, che rappresentano i muschi più antichi (risalenti a circa 250 anni) a un verde fluorescente vivo.
Chi non ha mai visto questi muschi non può capire cosa significa vederli verdi fluorescenti.
Le fotografie riescono solo a suggerire il colore reale.
La pista si snoda schivando i vari vulcani come un enorme labirinto naturale. Il vulcano di fronte cela la vista a quello successivo e così via fino ad arrivare ad uno dei luoghi più fotografati al mondo: Landmannalaugar.
Difficilissimo da pronunciare, questo luogo rappresenta tutto quello che un geologo può desiderare per poter toccare con mano quello che ha studiato. Le colorazioni delle terre spaziano dal viola e blu scuri al rosso acceso, al rosa, all’arancione e crema segnati dai rivoli di muschi fluorescenti.
Qui e là fumarole e soffioni boraciferi fanno intuire che la terra a Landmannalaugar è viva più che mai.
Dormiremo questa notte nel rifugio più richiesto dell'isola, mentre Marcello prepara la tenda mensa.
Ci immergiamo subito nel fiume geotermico caldo, che completa l'opera artistica che la natura ha voluto regalare a questo luogo.
Cena nella tenda mensa e poi a letto tutti nel sacco a pelo… siamo tutti molto stanchi!
Buona notte Islanda.

Le terre colorate

14 agosto '06 - Decimo giorno IBASPRENGISANDUR.
Giornata con un 20% di nuvole, vento 11 Km/h da Nord-Ovest e temperatura di 8 °C.
Giornata di riposo a Landmannalaugar.
Landmannalaugar è una ampia spianata cui si accede da nord con una pista che costeggia il torrente Jökulgilskvisl che ha scavato la valle omonima.
Appena la valle si allarga, il viaggiatore, per accedere alla spianata dove c'è un rifugio e il campo delle tende, è costretto ad affrontare un guado con l'acqua alta 50 cm. Le auto berline tradizionali hanno una sola via per arrivare a Landmannalaugar ed è la pista da nord, ma appena arrivano all'accesso della spianata, sono bloccate dal guado d'ingresso e le macchine devono essere parcheggiate a 500 metri dal rifugio.
I fuoristrada passano facilmente come gli autobus 4x4, che arrivano qui dalla capitale per portare i turisti a visitare questo regno vulcanico.
Le biciclette e i pedoni hanno una lunga passerella in legno per superare il guado ed è proprio per questo accesso che noi bikers siamo arrivati ieri sera.
Lo scenario, già dalla spianata delle tende, è notevole: a sud una serie di valli che si incuneano nel letto ramificato del Jökulgil, un torrente con sinuose ramificazioni che tagliano ripetutamente la valle.
A nord, oltre all'acceso stradale della valle, si nota la catena delle montagne variopinte del Suðurnamur con due picchi rispettivamente di 873 e 916 mslm.
A est le montagne più fotografate qui a Landmannalaugar: la catena Norðubarmur che al tramonto esibisce colorazioni che vanno dall’oro all’arancione acceso. A ovest la colata lavica Laugahraun alta 40 metri, nera, con uno strato di muschio antico, si è arrestata a 30 metri del luogo dove è stato edificato il bel rifugio in legno.
Proprio a destra del rifugio, un piccolo camminamento di legno su palafitte porta alla grande attrazione del luogo: il laghetto di acqua geotermale a 38-40°C.
Una piattaforma alla fine del camminamento consente alle persone di spogliarsi, appendere asciugamani e vestiti e immergersi nelle limpide acque ristoratrici.
Non esiste orario per andare a fare il bagno nel laghetto. Già la mattina alle 5:00 si trovano delle persone che cominciano la giornata con una immersione energizzante, poi durante la mattinata arrivano i pullman 4x4 con gruppi di persone ansiose di immergersi a Landmannalaugar, il pomeriggio è la volta dei viaggiatori con i 4x4 che devono fare tappa qui per la notte. Infine a mezzanotte c'è sempre qualche romantico che decide che è bene chiudere la serata con un bagno sotto le stelle.
Ma Landmannalaugar è anche e soprattutto trekking.
I percorsi proposti sono tanti e di diverso impegno. Noi percorreremo oggi quello che ci porterà in cima al monte Balnhukùr (946 mslm) con una salita di circa un ora e trenta, poi la discesa a ovest del campo tende e il giro della colata lavica Laugahraun per vedere una serie di soffioni boraciferi alla base del Brennisteinsalda, un picco con terre rosse vive, gialle, ocra e macchie di zolfo.
La salita è facile, ma oggi il vento a metà mattinata si è rinforzato notevolmente. Le previsioni danno vento che da Nord Ovest girerà in direzione da Nord. Questo significa bel tempo ma le temperature tenderanno ad un deciso ribasso e già salendo sulle montagne vulcaniche siamo costretti a proteggerci con i cappucci delle giacche a vento.
La visione dalla cima del Balnhukùr è spettacolare, si riesce a spingere lo sguardo fino al ghiacciaio Vatnajokull, anzi là in fondo si vede nettamente il monte Herðubreid che sta a nord del vulcano Askja a circa 120 km da dove siamo ora.
Le montagne, che fanno da corona a Landmannalaugar, esprimono una variabilità di cromie eccezionale, è impossibile fare un paragone con altri luoghi conosciuti.
Nella zona a nord, i laghi riflettono il blu intenso del cielo che mano a mano che la giornata trascorre riempie la volta sopra di noi.
Le macchine fotografiche sono ormai accese da un bel po' e stanno immagazzinando immagini da riportare a casa.
Ci buttiamo a capofitto lungo il ghiaione che riporta a valle e dopo un breve riposo cominciamo il periplo della colata lavica Laugahraun passando per un'area di soffioni boraciferi che emette fumi e puzza di zolfo in quantità notevole.
Completiamo il giro in 4 ore e arriviamo stanchi alla tenda per mangiare lo spuntino preparato dalla nostra inimitabile Matthildur e dalla sua assistente tuttofare Adriana.
Il pomeriggio passa tranquillo tra pennichelle e meritato riposo, qualcuno si rituffa nel lago d'acqua calda e qualcun altro si spinge in uno dei fondovalle che fanno da panorama al campeggio.
Siamo tutti pienamente consapevoli di aver ricevuto da questo paesaggio tantissimo, più di quello che ci saremmo aspettati.
Se potessimo portaci a casa una parte di questo mondo probabilmente lo faremmo. Resta la consolazione di raccogliere alcuni simboli di questa terra: un pezzo di riolite, di ossidiana lucidissima e nerissima, di olivina verde scura, di pietra pomice o di sassi con forme curiose e particolari come i tre sassetti che Sebastien ha trovato e che hanno la silouette stilizzata dell'Africa, il suo continente preferito avendo vissuto parte della sua vita in Sudafrica.
Alla sera il vento è diventato una potenza costante.
Ci costringe a rinforzare i tiranti della tenda mensa, che è sottoposta ad un carico aerodinamico notevole vista l'altezza e la superficie laterale, ma non ci preoccupiamo più di tanto in quanto la struttura in alluminio sta reggendo benissimo.
Ci chiudiamo in essa per consumare una cena a base di filetto morbidissimo di pecora alle erbe aromatiche cucinato alla griglia, affiancato da purea come contorno e per completare in bellezza crepes con panna montata e marmellata all'interno. Una delizia.
In questa seconda notte a Landmannalaugar sarà di scena il vento!
Sta ancora rinforzando e la temperatura è scesa a 6 °C. Adriana e Marcello si chiudono nella loro AirCamping sopra il tetto della Toyota, mentre nessun problema nonostante il vento abbia raggiunto i 45 km/h, per noi nel rifugio. Il sonno di noi bikers, però, viene pesantemente disturbato dall'arrivo di due spagnoli, che russano a più non posso!
Buona notte Islanda!

Il sole sulla lava

15 Agosto '06 - Undicesimo giorno IBASPRENGISANDUR.
Giornata con un 0 % di nuvole(!), vento 15,2 Km/h da Nord e temperatura di 6°C.
Ultima tappa in bicicletta. Da Landmannalaugar a Rjupnavellir.Totale Km 62. Pista tra le terre vulcaniche della zona di Landmannaleið, che si snoda su pietra pomice dell'eruzione del 1997-98-99 del vulcano Hekla(1491 m slm)
La mattinata è di quelle che non si possono scordare facilmente: non c'è una nuvola ruotando lo sguardo a 360°. E' freddo ma alle 8:00 il sole scalda già abbastanza.
Il buonumore coinvolge tutti, anche se la consapevolezza, un po' triste, che oggi è l'ultimo giorno che si pedala segna di leggera malinconia l'animo del gruppo che si è trovato unito ad affrontare difficoltà e sofferenze negli 11 giorni di percorso in bike. Il vento soffia discretamente da nord e ci darà sicuramente una mano nella parte finale del percorso, spingendoci quando dovremo dirigere la ruota anteriore della nostra bici a sud.
Consumiamo la colazione, facciamo i bagagli, li portiamo vicino alla Toyota e poi via, si parte per l'ultima tappa.
Lo scenario di ieri viene esaltato dal sole che ha invaso valli, coperto cime, ed è penetrato perfino delle fredde acque dei laghi.
Dopo appena 6 km dalla partenza in un incrocio a 4 piste facciamo una deviazione di circa 2 km, non prevista dal road book.
Si sale rapidamente su un crinale coperto da muschi verdi accesi. Siamo costretti a scendere presto dalla bicicletta per spingerla a mano faticosamente lungo il ripido crinale. La fatica ci spossa. Finalmente la pendenza si attenua fino ad farci intravedere il culmine della cima.
Ci arrestiamo perché il terreno si interrompe improvvisamente lasciando il posto ad una impressionante voragine, profonda una cinquantina di metri e larga 200x600 metri. Il vulcano Ljotipollur sembra essere stato scavato più da un gigantesco meteorite a forma di pallone da rugby, che da un'eruzione vulcanica.
La crosta superficiale rocciosa del terreno del bordo del cratere ha uno spessore di circa 3 metri ed in alcuni punti è piegata e deformata verso il centro della voragine sporgendo oltre il bordo di 3-4metri. È come se non avesse avuto il tempo di raffreddarsi completamente e il vuoto creato dall'eruzione ha sottoposto questo bordo perimetrale all'azione della gravità deformandolo plasticamente, tanto da creare la bordatura interna. Il colore delle rocce e delle terre, sul lato opposto al nostro punto di osservazione, vanno da un rosso fuoco scuro al nero inframmezzato dai consueti rivoli di muschio verdi fluorescenti. L'acqua, lì sotto, è scurissima e riempie tutta la base del cratere. La visione è mozzafiato!
Si stenta a staccarsi dal luogo, ma abbiamo ancora molto da pedalare e ci lanciamo nella discesa che si effettua in pochi secondi, compensando solo in parte, la grande fatica che abbiamo compiuto per conquistarci questa quota modesta.
Ora la pista di terra scura comincia a effettuare un ondulato balletto tra le valli e i vulcani, è un piacere spingere la bicicletta lungo queste dolci pendenze, che si alternano a discese rotonde e giri di panorami continui e sorprendenti. Il fiume lascia lo spazio al prato ricoperto di erba, il laghetto alla colata di lava e così via per decine di chilometri.
Appuntamento con Adriana, Matthildur e Marcello a Landmannahellir una valle, che con questa giornata radiosa, è paradisiaca.
Tre rifugi ospitano i viaggiatori e i gruppi di appassionati che vengono qui per fare trekking, rafting o per andare a cavallo.
Per la prima volta in 11 giorni arriviamo prima di Marcello così ci accoccoliamo sul ruscello al sole, al riparo della brezza ancora fredda.
È un momento di relax magico.
La Toyota e la Land Rover di Marcello e Mattildur arrivano presto, portandoci una pastasciutta al tonno condita con verdure. Ma anche pane, formaggio da spalmare, marmellata, biscotti, caffé caldo, the caldo e cioccolata. Magici, che anche a centinaia di chilometri di distanza dalle comodità, ci forniscono i pasti su un tavolo con panche comode e che ci sbalordiscono ogni giorno per varietà, quantità e precisione delle sostanze, che ci servono per reintegrare le energie.
La sosta sa da scampagnata, ma non ci scordiamo che abbiamo ancora 40 km da percorrere prima di finire il nostro viaggio in bici.
Le ultime valli che percorriamo in sella, lasciano lo spazio per ammirare alla nostra sinistra il temibile vulcano Hekla di 1491 m slm. Il suo nome significa "cappello" e si riferisce al fatto che è sempre coperto da un cappello di nuvole. Si tratta infatti della prima grande barriera che il vento carico di umidità proveniente dal sud dell'Oceano Atlantico incontra dopo migliaia di chilometri senza ostacoli. Oggi il cappello non c'è, e possiamo ammirare questo imprevedibile vulcano nella sua totalità.
L'aspetto non deve trarre in inganno: arrotondato sulla cima, coperto da ampi nevai, nasconde la sua indole burrascosa.
L'ultima eruzione risale al 2003. Ma quella immediatamente precedente è durata tutto il 1997, il 1998 e il 1999 riempiendo il territorio in direzione ovest e sud di ceneri, lava e pietra pomice.
Attualmente è il vulcano più pericoloso dell'Islanda e i geologi locali e la protezione civile islandese sono pronti a intervenire in quanto si prevede che la sua attività possa riprendere da un momento all'altro.
Arriviamo all'incrocio della pista F26 in anticipo sulla tabella di marcia, ancora 8 km con il vento alle spalle e giungiamo al punto che sul GPS è indicato con un semplice nome: "FINE".
È finita! Abbiamo percorso in totale 649 Km in bicicletta in Islanda.
Piste percorse da pochissimi bikers fino ad oggi, probabilmente da nessun gruppo di ciclisti, sfidando la natura selvaggia e imprevedibile di una latitudine sconosciuta alle nostre esperienze ciclistiche.
Diversi islandesi incontrati sul nostro cammino dicevano che "eravamo matti".
Pur nella loro visuale abituata a sforzi estremi non riuscivano a concepire un progetto disfida tanto ambizioso in questo ambiente. Noi sappiamo che, diversamente dalla maggior parte degli abitanti di questa Isola, ci sono fortissimi islandesi che amano l'avventura e la natura della loro terra cimentandosi spesso come abbiamo fatto noi in questa occasione.
A sera siamo nello chalet di Rjupnavellir, non possiamo meravigliarci di fronte ai due cosciotti che sono stati presentati sul tavolo da Matthildur e da Adriana con contorno di insalatina e purea. Una bottiglia di Traminer aromatico salta fuori dalla borsa di Luciano. Siamo allegri e rilassati.
Dividiamo l'alloggio con un gruppo di francesi che arrivano tardi, cenano ancora più tardi e vanno a dormire a notte fonda togliendoci il gusto del meritato riposo.
Pazienza, anche questo fa parte del viaggio.
Buona notte Islanda!

Turisti nella Capitale

16-17-18 agosto 2006 - Dodicesimo, Tredicesimo e Quattordicesimo giorno IBASPRENGISANDUR
Il rientro alla civiltà. Il viaggio in bicicletta è finito, e nei prossimi tre giorni rientreremo in Italia.
Prima, però, un giro turistico per i luoghi simbolo per i tour operator, tanto per dire che ci siamo stati.
Carichiamo tutto, biciclette, tende, materiali e cucina sulle due auto e ci spostiamo verso ovest.
La prima tappa è a Gulfoss, la più alta cascata europea, una scenografia naturale che è stata salvata dalla caparbia lotta di una donna che viveva in una fattoria poco vicino.
Negli anni '30 si è battuta contro le lobbies che già allora volevano sfruttare il magico salto della cascata per produrre energia idroelettrica devastando il paesaggio con una grande diga e relativo lago artificiale. Sigrìdur Tòmasdòttir da Barattholt, era il nome della donna che abitualmente accompagnava i rari visitatori dell'epoca ad ammirare la cascata. Fu probabilmente lei a realizzare il primo sentiero che avrebbe, in futuro, portato migliaia di persone a vedere Gulfoss dal lato destro della riva. Sigrìdur non aveva studiato a scuola ma sapeva leggere e scrivere, e aveva anche una vena artistica che esprimeva nei suoi dipinti di fiori e animali.
Quando la cascata cadde nelle mani di procuratori stranieri che erano intenzionati a sommergerla per realizzare un bacino artificiale, Sigrìdur si ribellò con tutte le sue forze, spendendo giorni e notti in lunghi ed estenuanti viaggi verso Reykjavìk per portare avanti la sua battaglia. Era il 1920 quando venne firmato il contratto di cessione della cascata. La cascata Gulfoss era salva. Da allora molte persone si prodigarono per proteggere l'area di interesse naturalistico enorme, fino alla cessione dei terreni da parte dei proprietari locali in cambio della creazione di un parco di salvaguardia del territorio che nacque il 9 marzo del 1979 con il nome di: "Zona Protetta di Gulfoss".
In memoria di Sigrìdur è stato eretto un monumento nel piazzale antistante la costruzione didattica nel parco.
A Gulfoss, oggi, si può misurare il ritorno economico in numero di pullman che parcheggiano davanti alla cascata. Negli ultimi 10 anni gli introiti del turismo hanno superato di molto quelli presunti dallo sfruttamento dell'energia potenziale del bacino idrico che avrebbe distrutto tutta l'area della cascata. Un esempio di lungimiranza e imprenditoria intelligente da parte dello stato islandese che negli anni scorsi è riuscito a capitalizzare l'attrazione naturale. Purtroppo questa propensione sembra estinta se si ripensa alle vicende del progetto delle dighe di Karahnjukar.
Ma il ritorno nella capitale ci regala altri due gioielli islandesi: Geyser e Þingvellir.
Geyser è il nome del fenomeno che è un po’ il simbolo dell’Islanda. Lo sbuffo che vince la forza di gravità proiettando in cielo acqua calda e vapore. Oggi Geyser è silenzioso, sembra che riesca ad effettuare un getto al giorno.
Diverso è Strokkur, il Geyser più piccolo che ogni 5-6 minuti si esibisce per lo scatto delle macchine digitali di migliaia di visitatori al giorno. Il getto di circa 20-25 metri è molto originale e non delude mai.
Þingvellir è una vallata famosa per due importati motivi: uno geologico e uno storico. Geologicamente Þingvellir rappresenta la spaccatura che divide le faglie delle zolle del continente Europeo da quello Americano.
Solo qui in Islanda la frattura è visibile superficialmente perché tutte le altre faglie sono sommerse dai mari.
Camminare dentro questa enorme spaccatura, che si allarga di 5-6 cm all'anno, fa un certo effetto. Il motivo della rinomanza storica è che questo luogo, in corrispondenza di una roccia che sovrasta una piana verde, ha visto la nascita del primo parlamento democratico della storia dell'uomo. Era il 930 dopo Cristo quando i vari gruppi che vivevano nell'isola sentirono il bisogno di istituire una struttura formale di governo.
Il rientro a Reykjavìk ci frastorna.
Il traffico della città con 130.000 abitanti ci sommerge, e pensare che è ben al di sotto di quello delle nostre città italiane.
Siamo alloggiati alla sede nazionale degli Scout che al prezzo di un rifugio islandese ci hanno consentito di occupare lo stabile per due giorni.
Pensare che in città una camera doppia in albergo costa più di 350 €!
Il giorno 17 agosto passa girando a zonzo liberamente per la città. Ne approfitto per visitare quei musei che avevo saltato per mancanza di tempo la prima volta che sono venuto in Islanda.
Il 18 siamo in visita "obbligata" a Blu Lagoon, l'impianto termale che sfrutta le acque di scarico di una centrale geotermica che da energia e acqua calda a Reykjavìk.
Alle 11:30 siamo a Keflavìk, l'aeroporto internazionale. Scarichiamo bagagli e biciclette. È arrivato il momento per salutarci con un arrivederci.
Siamo tutti diventati amici e ci diamo appuntamento in autunno per ritrovarci e rivivere con le immagini questa grande avventura durata 15 giorni.
In Islanda rimangono Marcello, che deve riportare la Toyota e l'attrezzatura in Italia e Sebastien che dopo 649 Km di piste ha ben pensato di prolungare la sua vacanza nell'Isola andando a trovare un suo amico distante 690 km nel Nord est naturalmente in bicicletta!
Buona notte Islanda e Buona notte Italia!

La terra degli albori
Viaggio attraverso l’isola in MTB

Non si atterra per caso in Islanda. Ci vuole un motivo recondito per fare un viaggio del genere. Una voglia inconsapevole di misurarsi con le peggiori avversità del pianeta e con se stessi.
Questa terra non è compiuta, qui si incontrano le sue origini. E’ ancora in cottura, a fuoco lento, creando paesaggi, montagne e grandi pianure. Non meno di duecento vulcani la perforano. L’Hekla, nel sud dell’Islanda, ogni dieci anni, a partire dal 1970, erutta lava incandescente. Forse sarà come pedalare su un tappeto di candelotti di dinamite, la cui miccia non si sa se è già accesa.
Ma è terra di contrasti, coperta dal più grande ghiacciaio europeo, di colori in un tramonto che a luglio sembra non finire mai, le colline color pastello, i campi di ossidiana, di basalto o riolite. Contrasto tra il ghiaccio e la sorgente di acqua calda, le cascate e i geyser.
I muschi e i licheni, che con 450 specie diverse, hanno una scala cromatica che va dal blu al verde fosforescente. Nuvole, pioggia, nebbia, vento e sole, ma anche da 0 a 25 °C nella stessa giornata.
Fin dai tempi della colonizzazione dell’Islanda, da parte dei norvegesi, l’attraversamento degli altipiani dell’interno era un viaggio pericoloso e arduo. Le strade sono accessibili oggi solo ai fuoristrada 4x4 e spesso occorre guadare dei torrenti glaciali.
Non è facile. Per farlo in auto occorre essere molto esperti. Ma con la dovuta prudenza e le informazioni ricevute potremo vivere una bellissima esperienza in MTB!

Cose' IBAS: E' un gruppo di amici che conoscono molto bene il territorio dell'Islanda in quanto organizzatori di viaggi di Trekking.
Per affrontare il territorio in bici non è sufficiente essere capaci di pedalare per ore ed ore, ma il clima è variabilissimo e ci si deve adattare ai climi freddi. Bisogna essere conoscitori della navigazione. Capita di trovarsi avvolti dalla nebbia e essere confusi dalle innumerevoli tracce dei pneumatici che vanno in tutte le direzioni. Per l'attraversamento dell'isola risulta quindi consigliabile l'aiuto di persone, che conoscendo il territorio e con l'assistenza di due 4x4, rendono assolutamente piacevole e sicuro il viaggio.
Visitate il sito www.ibasprengisandur.it.


I Partecipanti:

Beatrice Del Moro Grande appassionata di bicicletta fino dall'adolescenza. Grande potenza nelle gambe, partecipa alle gare di mountain bike con la sua fullsuspended. Lavora come informatrice farmaceutica.
Sebastien Matteo Bellet Grava Appassionato di avventure. Grande amante dell'Africa. Viaggi fatti in Vespa in tutta Europa. Ha viaggiato in Sud Africa, Congo e Zambia. Primo viaggio in Islanda. Professione: conduttore trasporti internazionali.
Matteo Alan Crippa Restauratore di mobili e educatore in una cooperativa sociale a Lecco. Tutti gli sport lo appassionano, è un eclettico e si adatta a ogni disciplina. Grande appassionato di bicicletta da 4 anni. Viaggi fatti: Cuba, Canada, India, Bangladesh, Irlanda, Namibia, Madagascar, Perù, Libia (Acakus). È la prima volta che viene in Islanda.
Gigi Gallinaro Impiegato in un associazione di piccole imprese. Amante del tennis, dello sci da fondo e da discesa pratica escursioni e arrampicate. Va in mountain bike da venti anni. Viaggi fatti: Patagonia - Argentina, e ha organizzato viaggi in Finlandia e in Europa in genere. E' la prima volta che viene in Islanda.
Stefano Pravato Softwareista. Fresco appassionato di mountain bike e ex saltatore in alto. Viaggi fatti: Marocco, Tunisia, Messico. E' la prima volta che viene in Islanda.
Luciano Varutti Lavora nel Servizio Sanitario. Free rider in Nord Europa e Trekker in Nord Africa. E' in Islanda per la terza volta. Direttore sportivo dello staff IBASPRENGISANDUR.
Matthildur Leifsdòttir Islandese, imprenditrice. Cuoca, autista e responsabile dello staff IBASPRENGISANDUR in Islanda.
Adriana Ferracin Appassionata di viaggi e storie. E' in Islanda per la quinta volta. Aiuto cucina, autista e tutto fare dello staff IBASPRENGISANDUR.
Marcello Stampacchia Ingegnere meccanico, libero professionista. Presidente della IBASPRENGISANDUR Associazione sportiva dilettantistica. Appassionato di viaggi e di molti sport. Viaggi fatti: Europa, Brasile, Islanda. Deserto nord africano in genere con 4x4 e a piedi. È la sesta volta che viene in Islanda. Responsabile del viaggio e della rotta dello staff IBASPRENGISANDUR.
ed io, Sandro Foti Progettista civile in impianti petrolchimici. Grande appassionato di mountain bike da cinque anni. Viaggi fatti: Tutta Europa, Romania, India, Arabia Saudita, Nigeria, Iran, Libia, Canada, Giappone e New York. Seconda volta in Islanda.

Hanno parlato di noi:
Mountain Bike Word sul numero di Novembre 2006. (8 pagine)



Il Notiziario di Treviso, che ha dedicato una pagina per tutti i giorni del viaggio.



Materiale consigliato da portare:
Borraccia da un litro.
Sacco a pelo invernale (-10 a -15°C).
Sali minerali.
Una confezione di Codex (fermenti lattici).
Una confezione di Diarstop.
Una confezione di Comped per le vesciche.
Una confezione di salviette umidificate.
Il costume da bagno.
Gli occhiali da sole.
Una torcia elettrica.
Abbigliamento ciclistico invernale.
Scarpe da MTB, scarpe da trekking (e per andare in giro) e scarpette per i guadi (io ho usato quelle per il Surf).
Una giacca pesante (meglio se in Goretex).
Magliette, calze, mutande, felpa, pantaloni per la notte, asciugamano, set per l'igiene personale.
(il trasporto dei bagagli con i 4x4 permette un po' di eccedere, ma ricordate i 20 kg max per l'aereo).
L'organizzazione ha portato gli attrezzi e i materiali le le riparazioni.


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Il corso di GPS e le prove pratiche a Treviso in preparazione del viaggio.


La partenza dalla fattoria di Greta.


Incontriamo chi protesta contro la costruzione delle dighe.

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